giovedì 4 ottobre 2012

In difesa dell’articolo 18: raccolta firme per il referendum abrogativo anti-Fornero


     Volevo scrivere due righe sulla imminente raccolta firme necessaria a indire il famoso referendum abrogativo che ripristini l’articolo 18 dello Statuto del Lavoratori, che la signora Ministro Elsa Fornero si è ben studiata di calpestare, sennonché mi sono imbattuto in questo bell’articolo di Francesco Baicchi, tratto da liberacittadinanza.it dello scorso 21 settembre. Ho deciso di incollarlo direttamente sul mio blog perché esprime a mio avviso nel modo migliore la necessità del referendum in tutto la sua potenza democratica, modificandolo solo leggermente (i grassetti sono miei).

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     Il 13 ottobre prossimo inizia la raccolta delle firme per richiedere il referendum abrogativo della norma che ha di fatto cancellato l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori che prevedeva il reintegro automatico del lavoratore licenziato senza giusta causa. Il referendum viene proposto da un comitato composto da IDV, SEL, PRC, PdC, FIOM, ALBA, Art. 21 e altri soggetti. La data dell’eventuale referendum non è ancora certa a causa della concomitanza delle elezioni politiche del prossimo anno, delle presidenziali ecc... Rimane intatto il grande valore simbolico dell’iniziativa.

     Quando i Costituenti decisero di inserire nella Carta repubblicana del 1948 la possibilità di ricorrere al referendum abrogativo (peraltro scartando altre forme di democrazia diretta pur proposte dal Mortati) come estremo rimedio a una possibile divergenza fra la volontà popolare (che deve in ogni caso prevalere) e l’operato del Parlamento, non potevano prevedere che l’esito di queste consultazioni avrebbe potuto essere semplicemente ignorato da “politici” che si sentono comunque sottratti al giudizio popolare grazie a meccanismi e ingegnerie elettorali, come sta accadendo, per esempio per la ripubblicizzazione dei servizi idrici.

     Per questo oggi anche nella sempre meno individuabile area del “centro-sinistra” c’è chi si dissocia dall’iniziativa referendaria che punta a reintegrare nel testo originale l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, sostenendo che anche la eventuale vittoria non servirebbe a cambiare le cose, oppure che questa è solo una piccola parte del problema occupazionale e che si tratta di una “battaglia di retroguardia” perché in fondo riguarda solo pochi casi ogni anno.

     Purtroppo queste obiezioni non sono infondate, ma la raccolta firme prima, e l’eventuale campagna referendaria poi, rimangono un’occasione unica e irripetibile per informare e far riflettere l’opinione pubblica su quanto sta accadendo nel nostro Paese.

     Perché la vicenda dell’attacco all’art. 18 non può essere separata dai tentativi di modificare anche l’art. 41 della Costituzione, di annullare la validità dei contratti nazionali e di cancellare il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, rendendo il precariato condizione normale per il lavoratore.

     Il tentativo insomma di demolire il complesso delle norme giuridiche che faticosamente nel corso della seconda metà del ’900 era stato pensato per rendere i cittadini del nostro Paese un po’ più uguali e tutelare diritti inalienabili come la libertà di pensiero e la stessa salute.

     Al di là dei tecnicismi giuridici, l’articolo 18 nello Statuto dei Lavoratori, annullando i licenziamenti privi di una causa oggettiva, tentava semplicemente di impedire che un o una dipendente potessero essere ricattati dal datore di lavoro per motivi di opinione o, peggio ancora, di rapporti personali. In attuazione degli articoli 3 e 21 della Costituzione.

     Così come l’art. 41 della Costituzione, che sancisce la libertà di ogni cittadino di divenire imprenditore, chiarisce che questo diritto individuale non può essere esercitato generando un “danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” e non può “svolgersi in contrasto con l’utilità sociale”; e che dunque (per rimanere alla attualità) la legittima ricerca del profitto non può giustificare la creazione di situazioni di rischio per i dipendenti, l’ambiente ecc...

     È evidente come queste norme costituiscano conquiste importanti di civiltà, sulla strada di una società di uguali, più giusta e senza prevaricazioni.

     Pensare che il benessere economico sia ottenibile solo rinunciando ad esse è una visione drammatica, che interrompe il cammino verso un futuro migliore e ci riporta indietro nel tempo. Smentendo esplicitamente quanti proclamano il superamento della distinzione fra la sinistra e una destra conservatrice e nostalgica dei privilegi.

     Per questo il referendum per il ripristino dell’art. 18 non deve essere visto nella prospettiva letterale e limitata di conservazione di una norma giuridica applicabile in casi singoli, ma come atto, anche di alto contenuto simbolico, di resistenza al ritorno dei fantasmi del passato e di riaffermazione dell'indispensabile utopia di un mondo migliore per tutti.

     Ci vediamo ai tavolini, a partire dal 13 ottobre, ancora una volta per una semplice dimostrazione di responsabilità e di volontà di contare nelle scelte politiche del nostro Paese.


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